Cuique suum

Cuique suum

di Vittorio d’Oriano, Vice Presidente Consiglio Nazionale dei Geologi

Nella vita forsennata di oggi non sempre possiamo dedicare il nostro tempo, come vorremmo e ci piacerebbe, a leggere e a studiare. Certamente però pur avendolo, dubito fortemente dedicheremmo anche solo qualche minuto alla lettura del “Il Parere dell’Ingegnere” periodico telematico di attualità cultura e scienza.

Ma, come quando si va dal medico e dobbiamo ubbidire alla richiesta di qualche analisi poco gradita, oggi mi è toccato non solo rendermi consapevole dell’esistenza di questa rivista, per me assolutamente sconosciuta, ma leggerne alcuni numeri per una serie di articoli tutti incentrati, beati loro, sulla figura del geologo e dei quali riporto solo alcuni titoli: GEOLOGI O TUTTOLOGI?; INARSIND RIVENDICA LA COMPETENZA DEGLI INGEGNERI SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO; NECESSITA’ DELLA COMPETENZA DEGLI INGEGNERI PER DISSESTO IDROGEOLOGICO: LETTERA APERTA A RADIO RADICALE; NECESSITA’ DELLA COMPETENZA DEGLI INGEGNERI NEI CALCOLI GEOTECNICI: LETTERA APERTA DI CESARE TROMBETTA, INGEGNERE GEOTECNICO, AD “INGEGNERI ROMANI”.

Io non credo sia utile, opportuno e soprattutto producente entrare nel merito di ciascuno di questi articoli perché essi si commentano da soli rivelando appieno non solo il livello culturale e scientifico di chi li ha scritti ma anche la “stringente attualità” (per chi non capisse è una battuta!) del conflitto ingegneri/geologi sulle competenze che essi, chi più chi meno, ripropongono come se il tempo, da quando altri, sia ingegneri che geologi per la verità, fomentarono oltremisura quel conflitto, non fosse trascorso.

A me piace qui dire, soprattutto, degli ottimi risultati che si ottengono quando, senza calpestare la dignità delle persone e rendersi ridicoli ai più, soggetti diversi per studi ed esperienze, lavorano assieme per affrontare e risolvere i non pochi problemi afferenti il territorio e la sua gestione.

E’ strano, ma sembra quasi che questa esperienza di lavoro in equipe sia più patrimonio dei geologi che non degli ingeneri. O almeno, è rivendicato più dai primi che dai secondi.

Ho detto strano ma per i geologi non lo è perché essi, contrariamente ad altri, sanno bene che il territorio nella sua accezione più ampia è un coacervo di problemi e di variabili che impongono, per chi voglia bene operare, una pluralità di competenze specifiche spesso molto distanti fra loro. E’ quindi la stessa loro preparazione a farli multidisciplinari.

Un tempo, quando la polemica fra le due categorie era aspra e puntigliosa ma inconcludente, si andava a spulciare la normativa di riferimento per scoprire se un ingegnere o un geologo potessero fare questo o quello. Era un lavoro certosino, micragnoso nel momento in cui si andava a valutare se una virgola messa prima o dopo, desse o non desse, nel contesto della norma, la facoltà di fare una certa cosa. E, come se non bastasse, intervenivano anche i cosiddetti centri studi che si inventavano giustificazioni per rivendicare una competenza piuttosto che un altra.

La domanda allora è: volgiamo tornare all’epoca delle carte bollate? Il nostro Paese, e più specificatamente la gestione del territorio, ha bisogno di una guerra santa sulle competenze degli uni e degli altri?

Io onestamente non lo voglio. E lo dico non solo per scienza ovvero per quel poco che ho studiato e approfondito negli ormai oltre 38 anni di professione sia in Italia che all’estero, ma anche per esperienza perché i risultati migliori li ho ottenuti proprio favorendo la multidisciplinarità e, lo devo dire, i guasti più grossi li ho riscontrati viceversa quando qualcuno ha pensato di poter fare a meno di questo o di quello. E in genere questo qualcuno non era geologo.

Sono così perfettamente d’accordo con Matilde Callari Galli & Danielle Londei che in un convegno, credo già del 2003, hanno scritto fra l’altro: L’amplificazione sempre maggiore degli orizzonti della conoscenza umana ha reso impossibile l’ideale del sapere enciclopedico e ha accelerato il processo di specializzazione. Se, da un lato, ciò rende l’uomo orgoglioso dell’aumento del numero di campi di conoscenza, dall’altro, egli diventa sempre più cosciente dell’ampiezza di tutto ciò che ignora e della sua impotenza radicale a controllare la totalità del sapere. …

Il pensiero, costretto all’interno delle singole discipline, ha evidenziato sintomi di malessere e proprio questo disagio sempre più diffuso è stato il motore delle ricerche e dei lavori multidisciplinari: per superare i limiti di un sapere monodisciplinare bisognava ricorrere alla convergenza sul medesimo ambito problematico di specialisti provenienti da più campi del sapere.

E vorrei davvero che questa filosofia prendesse campo senza riserve e credo che uno sforzo davvero encomiabile in questo senso lo stiano facendo tutti i Consigli Nazionali interessati.

Ciò detto mi sento di ringraziare gli estensori degli articoli citati perché mi hanno dato modo di esternare queste riflessioni. Non pretendo capiscano, mi basta che sappiano che il mondo, anche quello professionale è andato avanti. Senza di loro.

L’articolo di Vittorio d’Oriano in formato pdf