Nel 1994 l’alluvione nel Piemonte con l’esondazione del Po. Ben 70 morti e 2000 sfollati, dopo venti anni viviamo gli stessi momenti

Graziano:  “Già nel 1969 alcuni deputati proposero un disegno di legge per l’istituzione del Geologo di Zona, ma quel disegno rimase nel cassetto e delle conseguenze non occorre neanche accennare. Intanto quando piove non possiamo far altro che sperare che anche stavolta Iddio ce la mandi buona“.

Venti anni fa l’alluvione che colpì duramente il Piemonte con le esondazioni del Po e del Tanaro. Le vittime furono 70, i senza tetto ben 2000. Era il 5 Novembre del 1994, in 48 ore caddero ben 600 mm di pioggia per i quali oggi avremmo parlato di bombe d’acqua. Il Tanaro crebbe fino a raggiungere livelli molto alti, sfiorando in alcuni punti i 9 metri di altezza, con valori mai più raggiunti nel secolo. L’onda di piena travolse 15 comuni della provincia di Cuneo, 6 della provincia di Asti, 4 della provincia di Alessandria. Il torrente Belbo si gonfiò a dismisura travolgendo altri 6 comuni e risparmiando solo Nizza Monferrato. Il Po crebbe notevolmente, esondò causando ingenti danni, spazzando interi abitati. Le polemiche di allora furono le stesse di oggi e a distanza di 20 anni oggi in Italia fanno paura persino le previsioni meteo.

“Nel corso di questi 20 anni non si è fatto nulla per cambiare la situazione  – ha duramente denunciato Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi –  per rendere sicuro il territorio e più moderno questo Paese, ma abbiamo continuato solo ad inseguire le emergenze e a spendere capitali ingentissimi per tamponare  le emergenze, condendo il tutto con qualche condono edilizio. Il 23 gennaio 1969 i deputati Sangalli, Vaghi, Mattarelli, Calvetti e Lobianco presentarono un disegno di legge per l’istituzione su tutto il territorio nazionale di una figura, quella del geologo di zona, che molto probabilmente avrebbe cambiato, almeno sotto il profilo culturale, lo scenario del nostro territorio. Proprio perché capaci di leggere ed interpretare le dinamiche del territorio e la sua evoluzione morfologica, di analizzare e di definire modelli ed ipotizzare scenari di evoluzione, i geologi avrebbero saputo applicare i propri saperi a quelle istanze di sicurezza che oggi sono imprescindibili. Sono passati 35 anni, della proposta non se ne fece nulla e delle conseguenze non occorre neanche accennare. Eppure anche oggi in Parlamento ci sono mozioni e proposte che vanno nella direzione della prevenzione, ma giacciono nei meandri della burocrazia o nei cassetti delle istituzioni, mentre l’Italia è sotto il continuo attacco di alluvioni, frane e distruzioni.

Non si pensi che sia troppo tardi, c’è ancora spazio per agire, ma bisogna fare in fretta. Fare prevenzione significa trovare copertura finanziaria per interventi di mitigazione del rischio, per la sicurezza di scuole ed edifici pubblici, significa divulgare la conoscenza dei rischi naturali per imparare a conviverci, significa portare nelle scuole la cultura ambientale, significa progettare qualunque opera ben conoscendo preventivamente il contesto entro cui sarà realizzata e valutandone le interazioni” .

Incremento del 46% delle immatricolazioni universitarie per Geologia, ma chiudono i Dipartimenti di Scienze della Terra 

“C’è un dato chiaro che testimonia  quanto sia crescente l’interesse degli italiani per la Geologia.  L’Anagrafe degli studenti del MIUR  – ha proseguito Graziano – mostra che il numero di nuovi immatricolati nei corsi di laurea di Geologia in Italia dal 2008 ad oggi ha avuto un incremento del 46%. Tale aumento interessa praticamente tutto il territorio nazionale e si verifica nel contesto di un generale forte calo delle iscrizioni universitarie nelle discipline scientifiche. Eppure leggi e riforme stanno portando alla completa chiusura dei Dipartimenti di Scienze della Terra, lì dove si forma il geologo e dove nasce la cultura del territorio.  Il caso più eclatante, ma non è il solo, è quello dell’Emilia-Romagna, regione con grandissimi problemi geologici e con quattro Università, in nessuna delle quali è sopravvissuto un dipartimento di Scienze della Terra.  Nell’Università più antica del mondo di Bologna, dove nel 1603 Ulisse Aldovrandi coniò il termine “geologia”, oggi non esiste più un dipartimento esclusivamente dedicato allo studio del territorio, dei suoi dissesti e delle sue risorse. Non viviamo solo la distruzione del territorio, ma anche quella morale e culturale. Si aggiunga che la maggior parte dei dipartimenti per la difesa del suolo e delle coste, comunali, provinciali e persino regionali, così come quelli per la sostenibilità ambientale, sono quasi sempre appannaggio di professionalità che poco o nulla hanno a che fare con la formazione culturale derivante dalle complesse discipline delle Scienze della Terra. Eppure ancora oggi si continua a voler affermare, anche sotto il profilo normativo, standard di progettazione che estremizzano l’approccio ingegneristico, senza pensare di inserire compiutamente l’opera nel suo contesto fisico e senza valutarne le interazioni. E sappiamo che la maggior parte delle criticità rilevate nella costruzione delle grandi opere, ma anche in quelle medie e piccole deriva da una modellazione geologica ora errata, ora scadente, ora persino assente”.

Geologi quasi assenti nelle amministrazioni pubbliche

“Malgrado l’importanza e l’impellente necessità del ruolo – ha concluso Graziano – la presenza dei geologi nelle pubbliche amministrazioni è appena accennata, quando non accuratamente evitata, e questa considerazione è tanto più vera quanto più ci si avvicina alle realtà locali, che sono poi quelle cui spetta la gestione ordinaria e sostenibile del territorio e dei suoi rapporti con la popolazione che ci vive.

Le Scienze della Terra hanno avuto un ruolo progressivamente più rilevante per la capacità di dare risposte in termini di istanze di sicurezza sismica, idrogeologica, vulcanica, ma anche in termini di sviluppo energetico, di bonifiche e recuperi ambientali, di valorizzazione dei beni naturali e della geodiversità, di salvaguardia delle risorse e tanto altro ancora. Questo lo si deve soprattutto all’attività di una comunità, quella geologica, che tra ricerca, scienza e professione si è saputa affermare con straordinaria autorevolezza.

E’ ormai chiaro a tutti come in tanti ambiti la geologia, garantendo forme di interesse pubblico, occupi un ruolo importante e strategico, con le sue conoscenze e le sue applicazioni tecnologiche, che non sono da meno anche nel contesto della gestione e dello sfruttamento delle risorse.

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