NEL GIORNO DELLE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE NAPOLITANO

NEL GIORNO DELLE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE NAPOLITANO

di Pierfederico De Pari, Segretario del Consiglio Nazionale dei Geologi

Nel giorno delle dimissioni del Capo dello Stato Giorgio Napolitano non può non tornare alla mente quel fantastico confronto che l’intero Consiglio Nazionale dei Geologi ebbe con lui in una fredda ma assolata mattina di febbraio del 2012.

Si parlò della fragilità di questo Paese, bellissimo ma teatro di tante catastrofi naturali; si parlò della nostra professione, tante volte relegata a ruoli che non appartengono ad una disciplina che consente la conoscenza dei contesti nei quali si calano le opere dell’ingegno umano; si parlò di Scienze della Terra e di come una nazione, antesignana nel panorama europeo, seppe costruire un Servizio Geologico oltre 130 anni fa.

Nelle mani del Presidente della Repubblica, oggi dimissionario, i Geologi italiani posero un appello dal titolo: “Per un nuovo risorgimento delle scienze geologiche”. Era un documento di poche pagine, sottoscritto da migliaia di professionisti, ricercatori, cittadini e da tutti i Rettori degli Atenei italiani. In esso risaltavano i seguenti cinque punti, che rappresentavano altrettanti obiettivi:

  1. Rafforzare la presenza delle materie geologiche nei programmi delle Scuole superiori per una maggiore diffusione della cultura geologica.
  2. Incentivare le iscrizioni ai Corsi universitari in Scienze Geologiche.
  3. Difendere l’identità dei Dipartimenti di Scienze della Terra nelle Università.
  4. Armonizzare, coordinare e semplificare la legislazione vigente sul Governo del Territorio.
  5. Rilanciare il Servizio Geologico d’Italia e completare la Carta Geologica d’Italia.

Il Presidente Napolitano, con la sua raffinata sensibilità e cultura, seppe condividere lo spirito dell’appello nell’Italia delle catastrofi e della disperazione. Ritenne opportuno ribadire che la prevenzione e la conoscenza rappresentavano delle priorità assolute sulle quali sarebbe stato necessario porre la massima attenzione degli organismi politici, ma anche di quelli tecnici.

A poco meno di tre anni da quella giornata storica per la geologia italiana, e non solo quella professionale, avvertiamo un senso di profondo disagio nel constatare che nessuno di quei cinque punti ha rappresentato un obiettivo raggiunto.

La cultura geologica nelle scuole è funzione del buon senso degli insegnanti di scienze e del loro entusiasmo. I programmi ministeriali prevedono un’anticipazione della disciplina che prima veniva affrontata nel corso dell’ultimo anno di scuola, quando il substrato di conoscenze consentiva la comprensione piena delle leggi e delle teorie che regolano l’evoluzione del Pianeta.

I Corsi di Laurea in Scienze Geologiche, sempre più rarefatti sul territorio nazionale, contano poche decine di studenti al primo anno, con un’ovvia riduzione fino a poche unità negli anni successivi. La diminuzione delle immatricolazioni è conseguenza di una ridotta versatilità del titolo di studio in ambiti differenti da quello professionale e di una drastica riduzione dei numeri di giovani laureati impiegati nel settore specifico.

La Legge Gelmini, attraverso la logica dei minimi di numerosità dei docenti, ha di fatto stravolto la geografia dei Dipartimenti di Scienze della Terra sul territorio nazionale. Allo stato attuale ne sono sopravvissuti appena otto (su una base di oltre trenta nel 2012), la cui distribuzione è completamente sbilanciata sui grandi Atenei. Basti pensare che regioni come l’Emilia Romagna, storicamente antesignane per la capacità di strutturare gruppi tecnici specialistici, non ha più un Dipartimento di Scienze della Terra sul proprio territorio, ma neanche un Corso di Laurea in Scienze Geologiche.

Il governo del territorio, ad oltre dieci anni dall’entrata in vigore dei Piani per l’Assetto Idrogeologico, risente ancora della mancanza di una legge organica che attribuisca alla pianificazione un ruolo strategico, anche quando rispettosa delle pericolosità geologiche che insistono su quella porzione di territorio. La riorganizzazione delle Autorità di Bacino e la costituzione dei Distretti potrebbe determinare una perdita di controllo sulle dinamiche naturali che in generale riduce il rischio attraverso l’osservazione e la prevenzione.

L’ambizioso piano di redazione di una cartografia geologica omogenea per criteri rappresentativi e metodi di rilevamento sull’intero territorio nazionale può dirsi ormai naufragato. Il “Progetto CARG”, che agli inizi degli anni ’90 rappresentava la reale prospettiva della geologia italiana che ancora era ferma alla cartografia storica compiuta tra gli inizi del secolo e gli anni ’60, ha coperto meno della metà del territorio nazionale e quella monchezza è testimone di un’attenzione alla conoscenza di base troppo scarsa che in oltre vent’anni di attività non è riuscita a completare un ciclo.

L’agonia delle Scienze della Terra, che sembrerebbe preludere alla fine, nei fatti è compensata dalla voglia di conoscere da parte della gente comune e da un entusiasmo di chi opera nel settore che non ha pari in nessun’altra disciplina.

Sembrerebbe un controsenso ma forse è proprio questo che rende strenua la resistenza di una parte della storia di questo Paese che non vuole scomparire.

Piuttosto che amareggiarsi per ciò che non è stato fatto sembrerebbe opportuno rallegrarsi per ciò che, viceversa, è stato fatto; ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: la geologia è viva e rappresenta una disciplina imprescindibile nel processo di modernizzazione del Paese e di realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile.

Ai cultori di questa disciplina il difficile, ma non impossibile compito, di far circolare conoscenza e consapevolezza tra la gente comune, con il solo fine di valorizzare quell’enorme sforzo compiuto nel corso di oltre centotrenta anni a favore della crescita culturale e civile di un paese.

Roma, 14 gennaio 2015

L’articolo in formato pdf