Salviamo l’acqua: sistemi idrici, risorse e fiscalità

Salviamo l’acqua: sistemi idrici, risorse e fiscalità

di Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi

Promuovere le migliori pratiche nella tutela e gestione delle risorse idriche sotterranee secondo i principi delle direttive Europee e salvaguardare la risorsa idrica in un Paese come il nostro, che purtroppo si contraddistingue spesso per un suo uso scellerato, è quanto meno una battaglia di civiltà, alla quale i geologi si sono ormai da tempo legati.

Sappiamo che In Italia le risorse idriche sono complessivamente sufficienti ai fabbisogni e che il problema risiede nella loro gestione e nel loro uso corretto. Ma sappiamo anche che l’inquinamento del 40% di fiumi e laghi continua a produrre continue e gravi emergenze ambientali e ci espone persino sotto il profilo finanziario alle sanzioni economiche alle quali presto l’Europa ci costringerà per aver disatteso più d’una direttiva europea e diversi provvedimenti legislativi in ambito di depurazione delle acque reflue. Un conto stimato in circa 700 milioni l’anno, che Stato e Regioni dovranno sopportare, oltre al taglio di alcuni fondi europei, sino a quando non troveranno pieno compimento le disposizioni che sono state attribuite alla nostra nazione.

Sono 268 le amministrazioni coinvolte nelle procedure d’infrazione Ue per carenza o assenza di sistemi di depurazione: 109 sono quelle già condannate in base ad una procedura del 2004 e 159 quelle in corso di procedura dal 2009. L’Autorità per l’energia ha stimato che tra la realizzazione degli interventi già previsti nei piani d’ambito e la costruzione dei nuovi impianti di depurazione necessari per superare le condanne e le procedure d’infrazione servirebbero investimenti per circa 20 miliardi nei prossimi cinque anni.

Intanto anche la pressione esercitata sull’ambiente in genere e sulle acque in particolare dalle attività industriali rimane molto pesante e continuano a preoccupare gli effetti negativi sulla salute dell’uomo e sugli ecosistemi causati dalla presenza di sostanze pericolose soprattutto nelle acque sotterranee, ma anche nel suolo, nel sottosuolo e nei sedimenti.

L’evoluzione normativa nel campo delle acque sotterranee è emblematica della forte difficoltà, tutta italiana, di affrontare in termini programmatici la questione. I tempi di recepimento delle direttive europee ne sono testimoni. A partire dalla famosa “Direttiva Nitrati” 91/676/CEE che già nel 1991 dava indicazioni ai Paesi membri per ridurre e prevenire l’inquinamento delle acque e del suolo causato dai nitrati provenienti da fonti agricole, al fine di tutelare proprio le acque sotterranee, oltre a garantire una produzione agricola sicura e sostenibile: in Italia questa direttiva venne recepita in seno al Decreto Legislativo n. 152/1999, introducendo il Piano di Tutela delle Acque (PTA) quale nuovo strumento di governo. La successiva “Direttiva Quadro sulle Acque” (2000/60/CE), mediante misure per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e delle sostanze pericolose, cercava invece di indirizzare tutti i paesi membri verso una politica comune nel campo della gestione delle risorse idriche e di impedire un loro ulteriore deterioramento. In Italia si emanò il Decreto Legislativo n. 31/2001, ma in attuazione della precedente direttiva 98/83/CEE relativa alla qualità delle acqua destinate al consumo umano, che disciplina la qualità che le acque potabili devono necessariamente possedere al punto finale di consegna della risorsa all’utente per mezzo di valori soglia per determinati parametri microbiologici e chimico-fisici.

Occorrerà attendere sei anni, con il Decreto Legislativo n. 152/2006, il cosiddetto “Codice Ambientale”, affinché venisse finalmente recepita la Direttiva Quadro, che in materia di acque introdusse il Piano di Gestione del distretto idrografico, quale strumento di attuazione delle politiche delle acque a livello di distretto.

Anch’essa del 2006 è la Direttiva 2006/118/CE sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento, per certi versi lo strumento più efficace per la programmazione e la pianificazione, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 30/2009, che contiene alcuni aspetti innovativi per la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento e del depauperamento delle risorse idriche sotterranee. Ai fini della classificazione qualitativa e quantitativa di ogni corpo idrico sotterraneo, con questo decreto si introduce il concetto della tendenza significativa e duratura all’aumento delle concentrazioni di determinate sostanze o di un gruppo di inquinanti o di un indicatore di inquinamento nelle acque sotterranee. Un superamento del 75% del valore soglia stabilito impone l’inversione di tendenza, per cui diventa necessario un piano di monitoraggio adeguato per rilevare le tendenze e un altrettanto adeguato piano d’azione per invertirle. Particolare interesse riveste la fase di programmazione e gestione, che sovrintende al Servizio Idrico Integrato (Acquedotto, Fognatura e Depurazione) e che dovrebbe fornire gli indirizzi generali per la tutela e la conservazione della risorsa in favore delle future generazioni, garantendo allo stesso tempo qualità ed economicità del servizio per gli attuali cittadini.

Ma in tema di qualità ed economicità dobbiamo fare i conti con una realtà di un Paese che convive con un grave deficit infrastrutturale nel settore degli acquedotti e della depurazione. In occasione dell’Assemblea Nazionale Acque svoltasi lo scorso luglio, il Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Erasmo D’Angelis, nel sottolineare che l’acqua torna ad essere dopo anni una delle priorità dell’agenda di Governo, ha dichiarato che “in un terzo del nostro Paese mancano fognature e depurazione e in particolare al Sud l’acqua arriva anche a turni dopo giorni, condizioni inaccettabili da Paese in via di sviluppo”.

L’arretratezza e l’inadeguatezza delle infrastrutture idriche nazionali sono confermate dai dati: le perdite di rete sono in media superiori al 35%, la rete fognaria ancora non serve il 15% degli italiani, il depuratori risultano mal gestiti, inadeguati o addirittura inesistenti per un italiano su tre, l’acqua esce a singhiozzo dai rubinetti, soprattutto a sud, e circa il 35% dei corpi idrici di superficie non raggiunge gli standard di qualità ambientale. Tutto ciò in un contesto complessivo di disponibilità idrica nazionale pari a 52 miliardi di metri cubi d’acqua, di cui circa l’80% è effettivamente utilizzata. Di questa quota, il 50% è impiegato in agricoltura, il 15-20% per uso domestico e il 30-35% per uso energetico/industriale.

Bisogna dare attuazione alle direttive europee, ma per farlo occorre una strategia nazionale di gestione della risorsa idrica. Osservando l’operato delle strutture adibite alla pianificazione a scala d’ambito, emergono numerose criticità, che vanno dall’incertezza sulle competenze nella gestione dei dati tra il soggetto pianificatore e le Società che detengono il Servizio Idrico Integrato, alle difficoltà nella regolamentazione degli usi diversi delle risorse idriche, quali ad esempio l’uso agricolo, all’interno del Piano d’Ambito, per finire nell’inadeguatezza delle risorse professionali disponibili presso gli Uffici preposti alla pianificazione, indispensabili per affrontare complessi problemi di natura ambientale e gestionale legati all’uso delle risorse idriche. Succede infatti che proprio per la mancanza di coordinamento tra i vari enti che gestiscono le risorse idriche, nell’attuale strategia d’azione si perdano talvolta persino i concetti basilari di salvaguardia e di tutela della risorsa.

Tuttavia non si può derogare da una effettiva operatività dei distretti idrografici, con la ridefinizione dei loro confini e la revisione dei piani di gestione, il cui coordinamento potrebbe essere affidato alle Autorità di bacino nazionali. Occorre però superare la forte frammentazione degli enti coinvolti, evitare politiche e iniziative legislative non coordinate, prevedere incentivi economici e finanziari e sviluppare una maggiore consapevolezza, e forse anche una maggiore accettazione sociale, della possibilità di utilizzo di acqua riciclata.

E poi c’è la necessità di reperire le risorse finanziarie, stimate per le infrastrutture acquedottistiche, fognarie e depurative in 66 miliardi di euro in 30 anni, con un effetto occupazionale stimabile tra 150 mila e 200 mila addetti. Intanto si dovrebbero utilizzare velocemente i finanziamenti resi già disponibili, cercando di colmare progressivamente il generale deficit infrastrutturale in cui versa il Paese e quello altrettanto grave che vede il Sud molto indietro per acquedotti e depurazione. 

L’Autorità dei Contratti Pubblici ha stimato che con un miliardo di euro è possibile coinvolgere da 10 mila a 15 mila lavoratori in attività di medio-lungo termine. Le risorse possono reperirsi nei Fondi strutturali 2014-2020, introducendo laddove possibile anche dei meccanismi di premialità per l’attribuzione delle risorse stesse, quali il miglioramento dell’uso dell’acqua nelle pratiche agricole, con forme di riutilizzo delle acque, la costruzione di piccoli invasi, la prevenzione degli sprechi, il recupero dell’energia termica dall’acqua depurata, ecc.

L’Autorità per l’energia ha proposto persino degli strumenti finanziari innovativi, i cosiddetti hydrobond, per sostenere gli interventi a tutela del patrimonio idrico, ai quali si vorrebbe dare una connotazione etica destinandoli al finanziamento di investimenti che implichino un evidente miglioramento della qualità ambientale.

La prevenzione degli sprechi assume una forte valenza sia sotto il profilo economico, sia sotto quello ambientale. Valorizzare il risparmio idrico appare una frontiera conseguibile attraverso il riconoscimento di incentivi a chi riutilizza le acque reflue depurate, soprattutto in agricoltura, a chi riduce le dotazioni idriche ed a chi riduce le perdite idriche. E’ auspicabile un sistema che coniughi fiscalità e sistema tariffario,  introducendo ad esempio i disincentivi per i consumi elevati e adeguando persino i regolamenti edilizi allo scopo di favorire le diverse tecniche di risparmio idrico, come l’uso delle acque piovane o di quelle riciclate per usi non potabili, la realizzazione di tetti verdi, ecc.

Solo con una strategia integrata di investimenti, riduzione dei consumi e fiscalità si potranno porre le basi per una politica di salvaguardia e tutela della nostra acqua, elemento base della nostra vita.