di Pierfederico De Pari, Segretario C.N.G. – Genitore Geologo
Ieri mattina, come tutte le mattine, ho compiuto il gesto più amorevole e civile che un genitore possa svolgere: accompagnare i propri figli a scuola ed affidarli all’istituzione scolastica.
Durante il breve tragitto che separa la casa dalla scuola che essi frequentano, un notiziario radiofonico mi avvisava di una scossa sismica di magnitudo 4.2 registrata pochi minuti prima dai sismografi della rete nazionale, con epicentro nell’area matesina.
Ho realizzato immediatamente che i genitori che vedevo per strada allontanarsi dalla scuola, e che tenevano per mano i propri figli, avevano già assunto una decisione; io, invece, ero ancora nel dubbio su cosa fosse meglio fare.
Nel giro di qualche minuto, continuando a girare in auto nel quartiere dove ha sede la scuola, prendevo anche io la mia decisione: avrei tenuto i miei figli con me, ritenendoli più al sicuro nel mio luogo di lavoro che in quell’edificio scolastico nel quale, ogni giorno, essi passano ore, scoprendo cose nuove, confrontandosi con i propri compagni di classe, imparando ad essere fieri cittadini del domani.
Nei pochi minuti di traffico che mi separavano dal mio luogo di lavoro, pensavo a quante chiacchiere sono state inutilmente spese sul tema della sicurezza nelle scuole, sul tema della prevenzione e sul tema della conoscenza delle catastrofi naturali.
Io, che per mestiere ho scelto di fare il geologo, ripensavo alla lunga attesa dei genitori di S. Giuliano di Puglia davanti alle macerie della scuola Jovine, con me spettatore inerme di un braccio di ferro tra potenza della natura e stoltezza umana.
E riflettevo sul perché in questo Paese, ricco di monumenti e centri storici, ma anche di catastrofi naturali che producono morte e devastazione, si continui a parlare sempre e solo in termini qualitativi, senza entrare mai nell’essenza e nel rigore dei problemi per tentare di risolverli, una volta per tutte.
Ho fatto della divulgazione e dell’educazione alla corretta conoscenza un mio motto di vita, perché solo in questo modo il mio mestiere sarebbe potuto essere veramente utile agli altri, oltre che funzionale alla sopravvivenza mia e della mia famiglia. Da oltre venticinque anni mi cimento con la spiegazione scientifica dei fatti e con il rigore delle teorie; ora credo opportuno porre all’attenzione delle persone attente, quelle che hanno la sensibilità giusta per capire che i problemi si affrontano e non si evitano, l’enorme portata dei temi della sicurezza e della prevenzione.
Il tutto riferito, come necessario in questi casi, con scienza e coscienza.
L’Italia è un territorio geologicamente giovane in cui le fenomenologie evolutive sono attive e si manifestano, spesso, in modo parossistico. I terremoti, come è noto, non possono essere previsti temporalmente, ma al più spazialmente. Anche l’analisi, a posteriori, degli eventi sismici non porta sempre a conclusioni univoche, condivise dalle diverse anime della comunità scientifica. Rimangono indiscutibili, in quanto misurabili analiticamente, i parametri tipici di un terremoto: localizzazione dell’ipocentro, sua profondità, intensità del sisma, accelerazione al suolo.
Nessuno può dire, quindi, allo stato attuale delle conoscenze, se e quando un terremoto avverrà, oppure se ad uno sciame sismico che perdura in una certa zona da alcune settimane farà seguito, e quando, un evento di maggiore intensità.
E’ possibile, però, sulla base dei tanti dati raccolti negli anni sull’intero territorio italiano, classificarlo in termini di pericolosità sismica, ovvero della probabilità che un terremoto di una data intensità si manifesti in una certa area. E le aree simicamente più attive del territorio italiano sono ormai ben note e per esse i livelli di attenzione sono più alti anche da parte della comunità scientifica proprio perché gli uomini di scienza hanno imparato a conoscere i terremoti, studiandoli quando essi avvenivano.
La catena appenninica è tra le zone a maggiore pericolosità sismica della penisola in quanto lì sono presenti numerose strutture sismogenetiche, responsabili della generazione di terremoti più o meno profondi che rilasciano enormi quantitativi di energia elastica.
Di fronte alla consapevolezza che i nostri territori sono prossimi alla catena appenninica e che lì sono presenti numerose evidenze di elementi strutturali attivi, detti faglie, non resta che attivarsi per ridurre al minimo il rischio derivante da una scossa sismica, in qualunque momento essa avvenga.
La prevenzione, quella della quale tutti parlano ma della quale solo pochi conoscono la reale essenza, è un fatto prettamente culturale, un atteggiamento virtuoso nei confronti dei limiti della conoscenza che rende socialmente pronti al manifestarsi di un evento potenzialmente calamitoso.
Ma un evento naturale diventa catastrofico solo se manca la consapevolezza e se non sono state adottate tutte le misure, ancora una volta culturali prima che materiali, finalizzate alla riduzione del danno.
Campobasso è una città che convive con la probabilità che terremoti, anche di forte intensità, possano interessarla. Eppure tale consapevolezza appartiene solo a pochi e ciò non è sufficiente per far sentire civile e pronta all’evento un’intera comunità, che pure si affida a chi ha assunto nei suoi riguardi doveri civili e penali, prima che politici.
Il mio breve viaggio verso il luogo di lavoro si stava concludendo e riflettevo su quale scelta avrei compiuto l’indomani: li porterò a scuola oppure no? Ma mi chiedevo anche perché avrei dovuto compiere una scelta. Perché un terremoto si sarebbe dovuto manifestare il 21 gennaio piuttosto che il 23 marzo oppure il 15 agosto? Chi avrebbe potuto garantire che gli edifici che ospitano gran parte delle scuole del capoluogo sono realmente in grado di resistere ad un terremoto di intensità superiore a 5 senza subire danni strutturali importanti? Perché mai nessun amministratore ha posto al primo punto del proprio programma politico una riflessione seria sul tema della sicurezza nelle scuole, trovando soluzioni razionali ed efficaci? Perché un genitore dovrebbe scegliere la scuola per i propri figli in funzione del grado di vetustà/vulnerabilità della struttura e non della qualità dell’offerta formativa?
E mentre si susseguivano le telefonate di amici e parenti che comunicavano la chiusura di questa o quell’altra scuola, io pensavo a quanta approssimazione esista nella nostra società ed a quanta estemporaneità permei le scelte che quotidianamente siamo costretti a subire.
Con molta rabbia e con profonda tristezza iniziavo così la mia giornata lavorativa.
La lettera aperta in formato pdf