I professionisti italiani riuniti nel CUP (Comitato Unitario Professioni) e nella RPT (Rete Professioni Tecniche) constatano con amarezza che Il Parlamento respinge emendamenti, proposti dalle professioni, veramente indirizzati a migliorare leggi esistenti e ad introdurre strutturali processi di semplificazione, e al tempo stesso approva un emendamento, finalizzato ad estendere senza alcun limite l’attività extraistituzionale dei professori e ricercatori universitari, che nulla ha a che fare con la semplificazione e che va nella direzione di aumentare il discrimine tra le diverse categorie di dipendenti pubblici e degli stessi professori universitari.
Si fa riferimento all’emendamento 19.15 al DL Semplificazione, presentato dalla opposizione e votato dalla maggioranza con il parere favorevole del Governo.
La disposizione fornisce una interpretazione autentica del comma 10 dell’art.6 della legge n. 240 del 2010 e stabilisce che ai professori e ricercatori a tempo pieno, sia liberamente consentito, indipendentemente dalla retribuzione, lo svolgimento di attività extraistituzionali realizzate in favore di privati, enti pubblici ovvero per fini di giustizia, purché prestate, quand’anche in maniera continuativa, non in regime di lavoro subordinato e in mancanza di una organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento.
Si tratta di una decisione sconcertante che consentirebbe ai professori e ricercatori universitari di effettuare attività extra istituzionali senza alcun controllo da parte dell’Università di appartenenza e senza alcun limite di compenso. In palese contrasto con la normativa previgente che intende interpretare. Senza contare il fatto che si consente ad alcuni lavoratori di entrare nel mercato senza rispettare le regole e sottostare alle incombenze cui invece sono sottoposti i liberi professionisti ad esclusiva tutela della collettività.
Appare sorprendente, tra l’altro, che il Ministero dell’Università non abbia nulla da dire in merito, considerando l’alto rischio che tale estensione possa andare a scapito dell’attività di docenza, senza tenere conto della discriminante che determina tra docenti universitari a tempo pieno e a tempo definito e dell’aggravio di costi per lo Stato, perché la prima conseguenza di tale emendamento sarà che molti docenti a tempo definito passeranno a tempo pieno. Diversamente da quanto asserito, quindi, non si tratta di un provvedimento ad invarianza di costi per lo Stato.
Per questi motivi, i professionisti italiani intendono protestare duramente e auspicano che, in extremis, il Parlamento possa tornare sui suoi passi.
Roma 3 settembre 2020
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