“Nella regione più franosa d’Italia con l’Università più antica del mondo, Bologna, dove nel 1603 Ulisse Aldovrandi coniò il termine “geologia”, non esiste più un dipartimento dedicato allo studio del territorio, dei suoi dissesti e delle sue risorse. Anche questo è un segno della decadenza scientifica e culturale del Paese”. Lo ha affermato Nicola Casagli, Docente di Geologia presso l’Università di Firenze che sta seguendo istante per istante l’evolversi della situazione in Emilia – Romagna.
E c’è l’allarme, importantissimo, lanciato da Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi. “La diminuzione dei dipartimenti sta già provocando una contrazione sensibile anche nel numero degli studenti e dei laureati, che mai sono stati, per la loro specificità, numerosi come in altre discipline – ha dichiarato Graziano – con grave pregiudizio per la sicurezza generale dalle calamità e dai rischi naturali. Il territorio è fortemente malato, mentre noi restiamo in attesa di risposte concrete. Abbiamo richiamato più volte e con forza l’attenzione della politica alle problematiche connesse alle calamità naturali e la particolare contingenza in cui si trova l’insegnamento delle Scienze della Terra, sia nelle scuole secondarie sia, e particolarmente, nelle Università, soprattutto dopo l’ultima riforma, che incide sulla sopravvivenza dei dipartimenti esclusivamente su considerazioni tecnico organizzative, quali il numero dei docenti strutturati, la cui conseguenza è che sono ora a rischio di chiusura dipartimenti importantissimi e con una grande tradizione storica. Proprio un anno fa abbiamo rivolto un appello al Presidente della Repubblica, sottoscritto dai Rettori delle Università italiane e dai Presidi di Facoltà, oltre che da migliaia di professionisti, ricercatori e cittadini sensibili alla problematica”.
La cronaca della situazione in Emilia – Romagna
Eppure in Italia i georischi mettono a dura prova l’economia, il tessuto sociale del Paese. “ A Tizzano Val di Parma, in Emilia-Romagna c’è una frana enorme. I dissesti – ha proseguito Casagli – che hanno colpito nelle ultime settimane la Regione Emilia-Romagna in particolare e, in subordine, le Regioni Toscana, Umbria e Marche sono prevalentemente associati a frane cosiddette a cinematica lenta, innescate da piogge prolungate che hanno interessato tali aree nelle scorse settimane. Si tratta in gran parte di riattivazioni di frane preesistenti, ben conosciute, che si trovavano in condizioni quiescenti. Questo tipo di frane provoca danni ingentissimi a strutture ed infrastrutture ma, in genere, consente tempi di preavviso sufficienti a permettere alle persone di evacuare le aree instabili”.
“La Regione ha ricevuto quasi 1200 segnalazioni di danni dalla popolazione. Si sono verificate 23 interruzioni totali di strade – ha proseguito Casagli – con l’isolamento di 20 località o abitazioni, 30 case sono distrutte o fortemente danneggiate; 70 persone sono state evacuate in 13 Comuni. I soli danni diretti sono stimati a circa 120 milioni di Euro. Non sono ancora stati stimati i danni alle attività produttive ma, credo, che essi saranno ingenti, considerando che nel solo Comune di Tizzano si concentra il 15% della produzione di prosciutto di Parma e che molte delle strade utilizzate per i trasporti sono del tutto inagibili”.
Casagli ha snocciolato dati importanti. “L’Appennino emiliano e romagnolo è la Regione caratterizzata dalla più elevata densità di frane in Italia. Le frane mappate sono circa 70 mila e molte di esse hanno grandi dimensioni – ha concluso il geologo – coinvolgendo aree di svariati chilometri quadrati. Circa il 20% del territorio collinare e montuoso della regione è in frana. Ben 2161 km di strade sul territorio regionale sono interessati da frane, di cui 615 da frane classificate come attive. Anche in questo caso la provincia di Parma detiene il primato regionale, con oltre 840 km di strade in frana”.
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