di Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
L’ambiente e l’ecologia sono entrati da tempo nel dibattito culturale, più di recente lo avevano fatto i temi ambientali più specificamente legati ai cambiamenti climatici, penetrati ormai nella cultura per restarci definitivamente dopo la straordinaria enciclica di Papa Francesco, ma anche a valle delle recenti dichiarazioni del Presidente degli USA Obama, che ha posto finalmente la questione ambientale ed i cambiamenti climatici al centro delle proprie preoccupazioni morali e politiche. Si tratta di importanti messaggi lanciati alle popolazioni dell’intero mondo e soprattutto a quelle dei Paesi occidentali, attraverso una visione del mondo basata sul rapporto uomo-natura, che comprende necessariamente anche le sfide che il futuro ci riserva, a partire dalla necessità di evitare il collasso dell’economia attraverso un uso corretto delle energie. Molti economisti calcolano che il costo del riscaldamento nei prossimi 200 anni sarà di 33.000 miliari di dollari. Intanto apprendiamo che nel luglio 2015 la temperatura media superficiale nell’area occidentale del Mediterraneo si è mantenuta nettamente sopra ai valori di riferimento 1985-2006 e che l’aumento registrato è in linea con l’accelerazione del tasso di riscaldamento globale. Sul fatto che i cambiamenti climatici siano collegati alle attività umane c’è un vasto consenso scientifico, ma quello che più importa sono gli effetti dell’aumento delle temperature e gli impatti devastanti sul nostro pianeta. I cambiamenti del clima hanno un impatto persino sui flussi migratori degli esseri umani, perché lo spostarsi verso altri territori al sopravvenire di condizioni di vita difficili è il più semplice degli adattamenti possibili. Se la temperatura media globale della Terra aumenta, cresce il numero e l’intensità dei fenomeni estremi, cambiano la distribuzione delle precipitazioni ed i fenomeni collegati, s’innalza il livello medio dei mari e si sciolgono i ghiacciai. Dunque gli eventi estremi non sono la sola causa delle migrazioni: la salinizzazione delle fonti d’acqua dolce, la desertificazione, le siccità prolungate sono causa di migrazione per la conseguente diminuzione della resa agricola, l’innalzamento del livello marino è la causa dello spopolamento delle regioni costiere ed insulari dell’Oceano Indiano, dove alcune piccole isole delle Maldive o delle Marshall sono già in fase di progressiva sommersione. Stime recenti indicano che le persone in movimento entro la metà del secolo per sfuggire agli impatti dei cambiamenti climatici saranno almeno 250 milioni. Definiti veri e propri “rifugiati climatici”, tanto che le Nazioni Unite hanno sentito la necessità di creare il Segretariato speciale per i Disaster induced cross-border displacement. Le aree più esposte al problema sono quelle dei delta asiatici, alcuni territori africani e le piccole nazioni insulari, ma l’area mediterranea non è esente visto che si sta scaldando ad una velocità superiore al riscaldamento medio globale. Senza dimenticare che il disastro ecologico sta superando per gravità le dimensioni attuali della crisi economica e che l’Europa ha assoluto bisogno di abbracciare una vera economia sostenibile. Da un recente rapporto del Wwf, basato su oltre 400 studi e ulteriori rapporti prodotti da istituzioni come l’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (Ocse), il programma ambiente delle Nazioni unite (Unep), la Banca mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Commissione europea, emerge che la sola efficienza energetica potrebbe generare risorse economiche annuali equivalenti all’intero piano di investimenti Juncker per l’economia europea, cioè oltre 300 miliardi. Dopo i risultati sostanzialmente deludenti del dopo Kyoto e dopo le timide assunzioni di responsabilità di alcuni grandi Paesi, occorre quel deciso cambio di passo al quale si riferisce l’enciclica del Papa, che impegna seriamente e socialmente la Chiesa e il mondo cattolico verso la questione ambientale, come ha sempre fatto su altre importanti questioni sociali come la pace e i diritti dei più deboli. E’ evidente che l’enciclica di Francesco voglia indicare ai cattolici, ma anche al resto del mondo, un deciso cambio di passo. Non si tratta di affermare che l’economia moderna basata sul petrolio sia intrinsecamente sbagliata, ma di invocare un diverso stile di vita per le popolazioni più ricche e una diversa economia per i loro governi, una nuova economia che possa finalmente svilupparsi attraverso la riduzione dei consumi, il corretto utilizzo delle risorse naturali e la promozione delle energie rinnovabili. Tutto questo per un mondo più pulito, ma anche per la consapevolezza che sia stata la fame di petrolio ad alimentare il terrorismo e a spingere i vertici di molti Stati a scatenare guerre nei paesi dove si concentrano le riserve petrolifere, in quei paesi in cui chi controlla i pozzi controlla anche l’economia e la politica. Tutto questo non poteva certo sfuggire a Papa Francesco.