AD UN ANNO DAL TERREMOTO DELL’EMILIA ROMAGNA ED A QUATTRO DA QUELLO DELL’AQUILA

AD UN ANNO DAL TERREMOTO DELL’EMILIA ROMAGNA ED A QUATTRO DA QUELLO DELL’AQUILA

Cosa è cambiato e cosa sarebbe dovuto cambiare?

di Gian Vito Graziano, Presidente del  Consiglio Nazionale dei Geologi

All’alba del giorno dopo la tragedia, in Italia si riapre puntualmente il dibattito sulla prevenzione dei rischi naturali, su quello che si sarebbe dovuto fare e su quello che ancora si potrebbe fare, si rilasciano dichiarazioni convinte e commosse, si ritorna a parlare di prevenzione, si lanciano proclami, si interrogano gli esperti e si cercano i colpevoli del disastro, forse più per liberare le coscienze, che per convinzione che il disastro abbia realmente dei colpevoli.

E’ passato un anno dal terremoto che sconvolse l’Emilia Romagna, ne sono passati quattro da quello di L’Aquila, e sembra che il Paese abbia dimenticato quei troppi morti, quelle terribili immagini dei crolli sotto i quali furono seppellite le speranze di tanta gente e le ambizioni di tanti studenti e delle loro famiglie.

Cosa si è fatto da allora? Quali politiche di prevenzione sono state messe in campo? Quali miglioramenti sono stati apportati ai nostri edifici pubblici, in un questo Paese dove ad avere problemi strutturali sono persino le scuole e gli ospedali? Quali speranze si sono date ai cittadini italiani, che dovrebbero aver imparato che quei terremoti non sono stati i primi e che non saranno gli ultimi che dovremo sopportare?

Sarcasticamente si potrebbe dire che qualcosa si è fatto, non è quello che si sarebbe dovuto fare, ma serve a capire quanto sia strano questo Paese.

Ad esempio da alcuni parlamentari della precedente legislatura è stata proposta una ennesima legge di condono edilizio, utile certo a recuperare nell’immediato un po’ di quattrini,  che tuttavia sappiamo di dover restituire decuplicati in un futuro non troppo lontano, quando saremo costretti a trovare le risorse per sopperire ai danni di una ennesima frana o di una ennesima alluvione.

Evidentemente non bastano i dati sul consumo di suolo, non bastano quelli sui costi dei continui disastri idrogeologici, non bastano i crolli strutturali di edifici di cui periodicamente abbiamo notizia, se ancora c’è chi ritiene che si possa tornare all’aberrante utilizzo della sanatoria, contrario non solo alle istanze di sicurezza, ma anche a quelle del rispetto delle regole e della legalità.

I dati sull’abusivismo edilizio sono purtroppo ancora oggi allarmanti, se si pensa che in Italia nel 2011,  secondo dati Cresme, sono stati realizzati quasi 26mila abusi, tra nuove case o grandi ristrutturazioni, pari al 13,4% del totale delle nuove costruzioni. E dal 2003, anno dell’ultimo condono edilizio, a oggi, sono state costruite oltre 258mila case illegali, per un fatturato complessivo di 1,8 miliardi di euro. Immobili che non si riesce nemmeno ad abbattere, infatti da una ricerca di Legambiente su 72 comuni capoluogo di provincia, emerge che dal 2000 al 2011 sono state emesse 46.760 ordinanze di demolizione, ma ne sono state eseguite solo 4.956, ovvero circa il 10%.

Eppure per fermare questa scellerata proposta parlamentare sono dovuti intervenire illustri personalità della scienza e della cultura, che hanno costretto in ritirata i parlamentari proponenti. Ma il pericolo purtroppo è sempre in agguato.

Viene da chiedersi allora se sotto processo, come è successo a L’Aquila per la Commissione Grandi Rischi, non debbano andare anche coloro che hanno avuto in tanti anni responsabilità politiche ed amministrative e che, nel migliore dei casi, sono stati solo disattenti rispetto ai tanti allarmi lanciati dalla comunità scientifica e dal mondo delle professioni sullo stato di devastazione del nostro territorio e di fragilità del nostro patrimonio edilizio; ma soprattutto dovrebbero andare sotto processo quelli che degli allarmi se ne sono infischiati, continuando a perpetrare malaffare, speculazioni e ad attuare condoni edilizi.

Leggi l’intero articolo in formato pdf