di Vittorio d’Oriano, Vice Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
Nei giorni scorsi non ho intenzionalmente voluto replicare a coloro che, in varia misura e su diversi organi di informazione, hanno ravvisato nelle “mie” affermazioni una provocazione terroristica arrivando addirittura a chiedere che io fossi denunciato per procurato allarme. Lo faccio oggi e con un linguaggio che, mi scuseranno i puristi, è rivolto soprattutto a quanto non hanno dimestichezza alcuna con queste problematiche.
Intanto quali sarebbero le mie affermazioni. «Parlo con il cuore e non con la ragione, ma mi sento di raccomandare agli abitanti delle località campane dove si è avvertito il sisma di dormire fuori casa questa notte e anche i prossimi due-tre giorni. Magari in macchina. Anche se mi rendo conto che fa freddo ed è Natale. Ma i terremoti sono talmente imprevedibili che nessuno si può azzardare a dire che il peggio è passato, specie dopo quanto è avvenuto a L’Aquila» Lo ha detto all’ANSA il vice presidente del Consiglio nazionale dei geologi Vittorio D’Oriano. (cfr. Il Mattino.it)
Devo premettere che in quei giorni ho rilasciato non meno di una decina di interviste e francamente non ricordo esattamente quella cui quell’articolo si riferisce anche se mi resta oggettivamente difficile credere di aver dato un termine temporale che contraddice apertamente ciò di cui sono viceversa convinto anche se non posso onestamente escludere di aver detto più probabilmente “qualche giorno”. Devo però aggiungere che sul web sono correttamente presenti alcune versioni integrali dell’intervista dove non compare quell’inciso “anche i prossimi due-tre giorni” che sembra aver scandalizzato alcuni. E ho avuto comunque modo di precisare molto bene il mio pensiero sia in trasmissioni radiofoniche molto note e seguite (Zapping) sia in TV su Rai1 a Uno mattina che pure sono disponibili sul web per chi le volesse ascoltare.
Credo sia opportuno però, senza i lacci della concisione tipica di una intervista telefonica, riassumere il mio pensiero per fare poi alcune considerazioni finali.
I terremoti, è noto, non possono essere previsti. Anche l’analisi, a posteriori, degli eventi sismici non è mai univoca e concorde se non per alcuni aspetti fisici precisamente rilevabili, ubicazione e profondità dell’epicentro, intensità, accelerazione al suolo.
Nessuno quindi può dire se e quando un terremoto avverrà né, tanto meno, può dire se a uno sciame sismico che perdura, in una certa zona, da alcune settimane farà seguito, e quando, una scossa di maggiore entità.
E’ altresì anche noto, per lo meno ai geologi, che buona parte del territorio italiano è a rischio sismico e che in talune zone tale rischio è molto elevato in altre meno. Non è quindi sbagliato essere consapevoli che in certe zone è certo che possa avvenire un terremoto e in altre meno. A questo proposito, e nello specifico per la Campania, invito chi volesse documentarsi a leggersi l’articolo “Terremoto e mappature –il dossier di Mario Bellizzi”, pubblicato su Il Sannio del 3 gennaio scorso.
Ciò detto e precisato veniamo alla situazione di quei tragici giorni.
In Umbria, specificatamente nella zona di Gubbio da molte settimane si manifestavano una serie di scosse avvertite chiaramente dalla popolazione. Lo stesso, anche se con frequenza diversa stava avvenendo nelle Marche. Quindi il terremoto della Campania e Molise. Poi una forte scossa in provincia di Ragusa. Quello più forte in Campania.
A questo proposito so bene, e l’ho anche detto, che non si poteva in alcun modo, a meno di approfondimenti che in quel momento non avevo, correlare ovvero discriminare i vari fenomeni.
Mi sono limitato però ad osservare che c’era una coincidenza temporale almeno sospetta, e per me preoccupante, dal momento che quei terremoti avvenivano in aree notoriamente sismiche dove in passato, anche non così lontano, si sono registrate scosse ben superiori e disastrose rispetto a quelle avute in quei giorni.
Se è vero che un terremoto è la dissipazione dell’energia accumulatosi in una certa zona se ne dovrebbe concludere, fatto forse positivo, che molte deboli scosse dovrebbero far presupporre che non ci sarà una scossa più forte ovvero che la probabilità che una scossa a più forte energia diminuisca col tempo. Ma non sempre è così.
Io infatti, contrariamente a molti che oggi straparlano, ero, da geologo, in Friuli dopo il sisma del maggio 1976. Ho quindi vissuto in prima persona come tutti gli abitanti di quelle zone l’immenso sciame sismico successivo a quella prima disastrosa scossa. Ma ho anche vissuto quella dell’11 settembre 1976 quando la terra tremò di nuovo e per ben due volte una alle 18:31 e l’altra alle 18:40, e quella del successivo 15 settembre 1976 con una prima scossa prima alle ore 5:00 circa e poi alle ore 11:30. Che finirono di distruggere ciò che si era salvato dalle scosse precedenti. E nessuno se l’aspettava.
Aggiungo un’altra considerazione. Le zone colpite nel dicembre scorso sono aree discretamente urbanizzate e il patrimonio edilizio, in percentuali da capogiro, è certamente non antisismico. Inoltre dobbiamo tener conto che se è vero che non si rilevavano al momento danni strutturali agli edifici certamente potevano ipotizzarsi danni ai tamponamenti o alle strutture in aggetto con conseguente indebolimento generale degli edifici.
Questo il panorama che avevo e avevamo davanti. Potevo far finta di nulla e non dire quelle che erano le mie preoccupazioni? Pur nella consapevolezza di aggiungere paura a paura?
La mia prima preoccupazione era (ed’è) che non si dovessero contare vittime per troppa faciloneria e per ignoranza, per stupidità o per fatalismo. Quindi prima di tutto ho consigliato a chi non ne fosse informato (certamente i più) di sapere quando era stato costruita e come la propria abitazione. Se l’edifico non era antisismico consigliavo di restare fuori dalla propria abitazione, in area aperta, anche in auto ma non parcheggiata sotto il condominio nel quale si vive.
Per me questo è l’applicazione, senza concessioni di sorta, tanto meno all’opportunismo, di un principio che sta alla base della mia professione: quello della prudenza. Quello stesso principio che è colpevolmente mancato in molti disastri naturali sia di natura sismica che idro-geomorfologica.
Questo è quello che mi dettano la mia poca scienza e la mia coscienza.
Se qualcuno fosse stato di diverso avviso non doveva far altro che dirlo: non dovete preoccuparvi rientrate pure nelle vostre case non c’è nulla da temere.
Sono due facce antagoniste della stessa medaglia. Io mi onoro di appartenere alla schiera di coloro che, consapevoli dei propri limiti e dei limiti della scienza e della tecnica, privilegiano sempre e comunque l’integrità delle persone e del territorio.